A partire dal XIII secoli molti villaggi aperti sedi di chiese e alcuni castelli vennero abbandonati e la popolazione si trasferì all’interno di Radicondoli e di Belforte, centri che già dai primi decenni del XIII secolo si configurarono con una struttura urbana definita, dotati al loro interno de edifici amministrativi e religiosi necessari alla comunità e conobbero un fiorente sviluppo economico legato principalmente alla lavorazione della lana. L’impianto urbanistico di Radicondoli e di Belforte si improntò al sistema dei centri medievali toscani muniti di cinta muraria, con un asse viario principale, intersecato da uno o più assi trasversali, alle cui estremità si aprivano le porte di accesso.
Sembra che il castello di Radicondoli venisse edificato ex-novo tra il 1209 ed il 1213 sul poggio detto di San Cerbone.
Fin dalla sua origine Radicondoli appartenne ai conti Aldobrandeschi di Sovana e di Santa Fiora, e tale risulta infatti, insieme al castello di Belforte, ancora nel 1216 nell’atto di divisione del territorio tra i membri di questa potente consorteria. Passò poi sotto il dominio della repubblica di Siena nel 1230 ma già al 1221 risalgono un patto di sottomissione e un giuramento di fedeltà di tutti i capifamiglia, che all’epoca erano 329.
Fu oggetto di contesa nel 1240, fra la repubblica senese e l’imperatore Federico II. Tra il 1260 ed il 1269, occupato dai Guelfi, venne assediato e riconquistato dalle truppe di Provenzano Salvani ma nel 1301 fu definitivamente inglobato nel territorio senese. Da questa data Radicondoli rimase sempre fedele a Siena e la sua storia divenne anonima, legata ai destini più generali di questa repubblica. Continuò però ad avere un considerevole sviluppo edilizio tra il XIV ed il XVI secolo come testimoniano alcuni significativi palazzi nobiliari. Un importante evento nel processo insediativo fu anche la comparsa di comunità monastiche come il monastero agostiniano di Santa Caterina delle Ruote fondato nel 1343 e il Convento dell’Osservanza fondato nel 1424 a poca distanza dal centro abitato.
Dopo la guerra di Siena, Radicondoli insieme a tutto lo Stato Senese fu compreso nel Granducato di Toscana; con atto pubblico del 27 novembre 1554 prestò giuramento di sottomissione a Cosimo I° dei Medici. Nel 1555, secondo quanto scrive il Gherardini, le sue mura furono abbattute in gran parte per ordine del conte di Lattaia che aveva occupato questa terra. Lo stesso autore fornisce anche alcune interessanti notizie sull’abitato di Radicondoli che nel 1656 contava soltanto 364 abitanti, sugli edifici pubblici presenti tra cui il palazzo di Giustizia, l’ospedale, la casa dell’Opera, il granaio del Monte Pio e il granaio dell’Opera, ed elenca i principali palazzi appartenenti alle famiglie Loli, D’Elci, Bizzarrini, Berlinghieri e Landucci.
Ricorda inoltre all’interno dell’abitato cinque chiese: la Collegiata, la chiesa dello Spedale, quelle di San Martino, di San Donato e di Santa Cristina, oltre al monastero di Santa Caterina delle Ruote.
Dopo un lungo periodo di decadenza una moderata ripresa delle attività produttive correlate alle risorse boschive e una inversione demografica (nel 1840 contava 1313 abitanti) si ebbero nel corso del Sette-Ottocento, epoca in cui furono realizzati numerosi edifici all’interno del paese e furono potenziate e meglio organizzate le tenute agricole del territorio. Con la legge leopoldina del 1774 che organizzò il compartimento dei tribunali di giustizia nella provincia, Radicondoli fu dichiarato residenza di un podestà che comprendeva anche la comunità di Belforte.
Il castello di Radicondoli chiuso dalle sue mura conobbe quindi il massimo sviluppo tra la prima metà del Duecento e la metà del Trecento. L’abitato era incentrato su un’asse principale, “strada maestra” oggi via Tiberio Gazzei, collegata alle due porte di San Martino e di San Pietro, ora non più esistenti, e sulla perpendicolare via “Sedice”, che sfociava a sud nell’unica porta rimasta detta porta Olla dal nome del nucleo medievale verso il quale si apriva. Le tre porte erano comunque ancora esistenti nel 1656 come informa l’auditore dello stato senese Bartolomeo Gherardini. All’estremità opposta doveva aprirsi un’altra porta collegata probabilmente alla pieve di San Simone ma di questa non abbiamo notizie.
Della cinta muraria, realizzata all’inizio del XIII si conserva quasi integralmente il suo perimetro ellittico, mentre ben poco rimane della sua originaria struttura muraria, in qando più volte ricostruita.
Ad epoca due-trecentesca risale il Palazzo del Capitano, ove risiedeva il capitano di giustizia che conserva elementi del primitivo impianto tra cui i portali ad arco a tutto sesto con archivolto a sesto acuto a conci di pietra e tracce della muratura a filaretto. L’edificio è stato ristrutturato e rialzato di un piano in epoca Cinque-Seicentesca.
Sulla casa di fronte a fianco della collegiata si trovava inoltre la Loggia del Capitano che fu demolita nel 1949. Probabilmente era in origine parte del palazzo Comunale, detto anche “il palazzetto de la loggia” e ricordato nello Statuto del 1411.
La cortina uniforme delle case medievali è interrotta dai palazzi pubblici e privati e dalle chiese.
Tra gli edifici religiosi, la pieve di San Simone, coeva alla stessa formazione del castello (1209-1213), conserva del suo primitivo impianto romanico soltanto la torre campanaria, a pianta quadrata realizzata con conci di arenaria disposti a filaretto e un tratto della muratura laterale bicromica formata da fasce alternate di pietra e mattoni. Collocata sulla piazza nel punto di intersecazione tra la strada maestra e la Sedice presentava un orientamento diverso da quello attuale, ed aveva il fianco parallelo alla via T. Gazzei e il campanile in prossimità dell’abside.
A questa chiesa venne probabilmente trasferito il titolo di pieve prima attribuito alla pieve vecchia situata fuori del paese e nel 1356 da essa dipendevano molte delle chiese del territorio radicondolese oltre al monastero di San Caterina e l’Ospedale posti all’interno del paese. Questa pieve fu poi completamente ricostruita nelle forme attuali tra il 1589 ed il 1627 quando venne insignita del titolo di Collegiata dei Santi Simone e Giuda.
Sviluppata su pianta a croce latina, con facciata in marmo terminate con timpano triangolare raccordato da volute laterali e composta a riquadri definiti da piatte lesene e cornici, contiene al suo interno importanti opere pittoriche tra cui la tavola della Madonna della Mercede già conservata nella Pieve Vecchia opera del pittore senese Naddo Ceccarelli, allievo di Simone Martini e di Lippo Memmi, la grande pala d’altare centinata raffigurante la Natività e l’Assunzione della Vergine in cielo proveniente dal vicino monastero di Santa Caterina delle Ruote, dipinta verso la fine del XV secolo da Pietro di Domenico pittore senese influenzato da Francesco di Giorgio Martini, la tela raffigurante la Madonna in cielo col Bambino con angeli e Santi di Astolfo Petrazzi del 1664.
In prossimità della pieve vi era anche un ospedale fondato nel 1291 da Contelda del fu Guglielmo, vedova del cavaliere Bernardino, dove vi prestavano opera alcune pie donne. In questo sito fu concesso dal vescovo di Volterra di erigervi nel 1339 (il decreto vescovile è del 1343) un monastero femminile dell’ordine agostiniano. L’ospedale qui esistente fu trasferito in altre due case vicine che furono donate da donna Niera fin dal 1334. Nel 1421 poiché versava in cattive condizioni fu restaurato nel 1426 dallo spedaliere Simone di Francesco e dotato di tre letti. Infine verso il 1477 fu soppresso e sostituito da un altro ospedale detto di San Giovanni
posto all’inizio del paese presso la porta di San Martino.
Il monastero con l’annessa chiesa di Santa Caterina fu costruito quindi a partire dal 1343 ma già nel 1378 la chiesa fu ampliata e successivamente (nel 1528) venne ampliato anche l’annesso monastero a seguito della donazione di una casa. L’aggiunta di case confinanti tra cui una dei Berlingieri nel 1544 e della “casa del Poggiarello” acquistata per 200 fiorini dal conte Antonio d’Elci nel 1560 per la figlia Clarice, in occasione della sua entrata in clausura, permisero altri ampliamenti del monastero. Nuovi lavori furono eseguiti ancora nel corso del XVIII secolo (1711, 1755-67) fino all’epoca in cui, nell’ambito delle Soppressioni del governo Francese, il monastero venne abolito.
Tuttavia dopo alterne vicende, parte del monastero nel 1955 è ritornato alle monache che tuttora l’abitano. Il vasto complesso mostra le complesse fasi edilizie e l’aggregazione di preesistenti edifici cui si sono avvicendate nel corso dei secoli. Sul lungo prospetto si vedono i resti di aperture ad arco e una casa torre trecentesca caratterizzata da due portali ad arco a sesto acuto.ù
La chiesa che prospetta con il fronte sulla via Tiberio Gazzei presenta invece una struttura tardo manierista. Realizzata in cotto ha un portale d’ingresso con timpano triangolare spezzato dove è collocata la statuetta in cotto raffigurante Santa Caterina delle Ruote.
All’inizio del paese sorge invece la Chiesa del Crocifisso dove si trovava anticamente l’ospedale di San Giovanni Battista documentato fin dal 1540 e dotato di un letto per i poveri e i pellegrini; questo era di patronato del Comune e amministrato da uno spedaliere che svolgeva anche funzioni di maestro di scuola, come attestano alcuni documenti del 1641 e del 1658.
La chiesa attuale risale invece al 1724. Presenta una facciata in laterizio del tipo ad edicola con paraste laterali e timpano triangolare. L’interno, a croce latina, è ad unica navata coperta con volte a botte sostenute da paraste e cupola al centro del transetto.
Lungo la stessa via si distinguono anche alcuni palazzi tardo rinascimentali risalenti per lo più al secolo XVI.
Tra questi il Palazzo d’Elci, di imponenti dimensioni, posto all’estremità orientale di Via Gazzei in continuità con il monastero di Santa Caterina come già ricordato. La struttura attuale del palazzo risale alla ristrutturazione avvenuta dopo il 1560. La facciata è articolata secondo i dettami della cultura architettonica del tardo rinascimento con paramento murario a vista ma originariamente intonacato, delimitata da cornici bugnate laterali e portale bugnato posto al centro. Si sviluppa su tre piani sottolineati da marcadanvanzali in pietra, al di sopra dei quali si dispongono finestre rettangolari con mostre in pietra al primo piano e in laterizio al secondo.
Anche l’attuale Palazzo Comunale risale al XVI secolo. Posto quasi di fronte alla collegiata, presenta pregevoli caratteri architettonici ed è stato riferito all’ambito di Baldassarre Peruzzi autore cui è attribuito anche il disegno della vicina villa di Anqua.
All’interno del palazzo sono da segnalare l’ampio locale d’ingresso coperto con volta a padiglione su peducci scolpiti, le porte munite di stipiti e architravi in pietra già recanti lo stemma Berlinghieri poi rimosso e un pregevole pozzo in travertino addossato alla parete, semicircolare con pluteale ad anfora e nicchia superiore. Il palazzo è stato acquistato dal Comune nel 1988 e dopo aver eseguito alcuni lavori di ristrutturazione nel 1991 vi ha trasferito la propria sede.
Palazzo Bizzarrini. Il comune era precedentemente ubicato in un palazzetto a mattoni, anche questo del XVI secolo, corrispondente al n. 24 della via Gazzei che appartenne a Michelangelo Bizzarrini ricordato nel 1583 in relazione all’entrata in clausura nel vicino monastero agostiniano della figlia Elena. Altri membri della famiglia Bizzarrini ricoprirono importanti cariche, tra cui quella di auditori della ruota presso la corte medicea. Nel secolo XIX quando vi era la sede comunale fu oggetto di un intervento di ristrutturazione.
Palazzo Lolini. Alla stessa famiglia Bizzarrini appartenne un altro ampio palazzo (nn. 67-69) di impianto cinquecentesco passato nel XIX secolo ai Noferi, poi ai Borghi nel 1901 ed infine per successione ereditaria ai Lolini suoi attuali proprietari. Nel 1656 il Gherardini ricorda questo palazzo, di proprietà di Angelo Bizzarrini, tra quelli di maggiore apparenza mentre nel secolo seguente Pecci ne riferisce la proprietà all’auditore Giuseppe Bizzarrini. Di impianto cinquecentesco, fu completamente ristrutturato dai Noferi nella seconda metà del XIX secolo come documenta la data “1889” incisa sopra l’architrave di una finestra e il soprastante stemma gentilizio. All’interno alcuni ambienti, come l’atrio d’ingresso, una camera, un bagno, presentano elementi tardo neoclassici e decorazioni eseguite dal pittore senese Luigi Cinatti ed una sala da ballo con orchestra sostenuta da colonne anche questa recante una decorazione a monocromo con motivi floreali e ovali con personaggi illustri, attribuibile allo stesso pittore.
Al secolo XIX appartengono invece il Palazzetto Baronti Marchiola n. 43 caratterizzato da un doppio portale d’accesso ad arco con un soprastante balcone sostenuto da mensole a voluta in pietra e da aperture con cornici modanate e architravi su mensole recanti un motivo ornamentale a rilievo, e la vicina Casa del Popolo nn.55-59, in mattoni, che reca sulla facciata una lapide in ricordo di Garibaldi.
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