Castelnuovo Berardenga, posto lontano dalla via Chiantigiana ma considerato oggi parte del Chianti, nonostante l’accrescimento urbanistico e il rinnovamento edilizio abbastanza contenuti, mantiene molti dei caratteri architettonici e dei valori culturali propri dei piccoli centri storici chiantigiani e che in ogni stagione richiamano numerosi turisti italiani e stranieri.
Il nucleo abitato, originatosi nel pieno Medioevo come signoria di un nobile franco (Berardo, donde il nome Contea Berardenga data a questo territorio), fu fortificato da Siena nel 1366 per controllare il confine col territorio fiorentino del quale entrò a far parte con la caduta di quella repubblica, avviandosi ad un destino eminentemente rurale.
Emanuele Repetti nel 1833 descriveva la grande comunità rurale di Castelnuovo, retta dall’omonimo “castello ora terra distinta”, sede di potesteria (con mercato di lunedì e tre fiere annuali), costituita, in seguito alla riforma comunitativa, con motupropriodel 2 giugno 1777 che accorpava i 38 comunelli e popoli della Berardenga, fino ad allora distribuiti fra le due comunità di Castelnuovo e di San Gusmè.
Un territorio, quello berardengo, attraversato da varie strade rese rotabili (come la regia Siena-Arezzo, la provinciale Siena-Castelnuovo e la provinciale del Chianti nel tratto Siena-San Gusmè), che nel 1833 contava 6663 abitanti (contro i 4465 del 1745) e che era formato da due ambienti differenziati: quello settentrionale delle aspre colline petrose strutturali che rappresenta la parte terminale a sud del sistema orografico del Chianti, e quello meridionale delle più basse e dolci colline argillose di deposito marino che si collega invece alle Crete Senesi.
Repetti elencava i “buoni vini, saporiti pascoli e cospicue granaglie [che] producono le crete, sebbene più fruttuose siano le piagge che non furono smantellate del superiore sabbione o tufo marino. Accreditati sono i vini nei pressi di Castelnuovo e nella parte settentrionale e occidentale della comunità sui monti del Chianti alto; eccellenti sono i caci, ed ottimo è l’olio che sì negli uni che negli altri si raccoglie”.
Le colline selvose settentrionali nutrivano innumerevoli maiali, quelle pasturative meridionali soprattutto pecore. Assai diffuse, nei borghi e nella campagna, erano anche le pluriattività domestiche nei settori della seta (esistevano “varie tratture”), della lana e della canapa. Riguardo alla proprietà terriera, poi, “la maggior parte del suolo è posseduta da nobili famiglie senesi, le quali hanno convertito in case di amministrazione rurale, o in ville di delizia, tante rocchette, casseri, castellari e torricelle”.
In questa antica “terra nuova” senese (rinnovata tra il 1373 e il 1374 su piani dell’ architetto Mino Dei), significative sono le presenze di edifici anche monumentali di epoca lorenese: la più rilevante è la Villa Chigi Saracini, commissionata da Galgano Saracini nel 1820 ad Agostino Fantastici che la completò nel 1840. La villa è situata in uno spazio di risulta dall’abbattimento di parte delle antiche mura; comprende la cappella di San Giovanni con facciata a finto bugnato, frontone triangolare e portale ionico, interno coperto a volta ospitante le tombe della famiglia e sull’altare il Martirio di Sant’Orsola di Giovanni Bruni.
Sono da ricordare anche la chiesa dei Santi Guido e Clemente (1843-1846), anch’essa di Agostino Fantastici su commissione del conte Agostino Saracini, a croce greca, pronao ionico tetrastilo in travertino, corpo in bugnato isodomo laterizio; e l’oratorio della Compagnia di Santa Maria del Patrocinio (1851-1860), opera di Andrea Chiusarelli, con la facciata a capanna, travertino e intonaco, sorto per onorare una trecentesca terracotta policroma raffigurante la Vergine Maria che gli abitanti di Castelnuovo Berardenga ritennero essere la protettrice della loro comunità, attribuendo alla Madonna – detta per questo ‘del Patrocinio’ – il merito di aver salvaguardato a più riprese la loro terra da invasioni e guerre.
Il territorio del Comune di Castelnuovo Berardenga è ricco di ville sette-ottocentesche, come quelle di Arceno, di Geggiano (Villa Bianchi-Bandinelli), di Guistrigona (Villa Bulgarini), di Sestano, di Villa a Sesta; e di famosi insediamenti religiosi, come la Certosa di Pontignano, Badia Monastero, la pieve di Santa Maria a Pacina; vi si trova anche il luogo della battaglia di Montaperti fra senesi e fiorentini, ricordata da Dante Alighieri.
La villa di Arceno si trova tra Castelnuovo Berardenga e Gaiole. Il complesso fu rinnovato dalla famiglia Del Taja nel XVIII secolo. Da segnalare la cappella di San Giovanni, settecentesca, trasformata da Agostino Fantastici nel 1833, e il giardino romantico.
La chiesa di San Salvatore a Badia Monastero, presso Quercegrossa, era la chiesa dell’antichissimo monastero prima femminile benedettino poi maschile camaldolese. Soppresso del 1810, fu proprietà Piccolomini e villa-fattoria all’inizio del Novecento. La chiesa, con campanile in facciata, fu ridotta di dimensioni all’inizio del XIX secolo: dell’originale restano abside, bracci del transetto e cupoletta ellittica nel tiburio (il coronamento fu eliminato nel 1840), mentre la breve navata a capriate data al 1806.
La Villa Bianchi-Bandinelli a Geggiano si trova presso Pontignano, verso Vagliagli. Nel 1777-1784 vi fu ospitato per brevi periodi Vittorio Alfieri, che recitò alcune sue composizioni nel teatro all’aperto del giardino. Nella villa soggiornò Pio VI nel 1798 in fuga da Roma dopo il Trattato di Campoformio. Nel corridoio del piano terreno si trovano affreschi con Scene dei Mesi del tirolese Ignazio Moder (su disegni di Giuseppe Zocchi incisi da Francesco Bertolazzi) ove è effigiata anche Alessandra Mari, animatrice del movimento del “Viva Maria!” del 1799. Da notare anche la cappella della Madonna del Rosario (1769-1799) con eleganti stucchi.
A Guistrigona, presso Pacina, si trovano la Villa Bulgarini con cappella di San Francesco Saverio del 1801; e la chiesa di San Donato dell’XI secolo, ampliata nel Settecento.
Nel luogo dove si combatté nel 1260 la famosa battaglia di Montaperti fra senesi e fiorentini, ricordata da Dante Alighieri, si trova un cippo commemorativo ‘romantico’ in memoria de “lo strazio e ’l grande scempio / che fece l’Arbia colorata in rosso” (Inferno, X, 85-86). Un duplice giro di cimiteriali cipressi sorge attorno ad una piccola stele sul Colle di Montapertacci. Presso Montaperti si trova la chiesa di Santa Maria, a pianta centrale porticata, eseguita nel 1836-1837 su disegno di Francesco Canale.
La pieve di Santa Maria a Pacina, presso Pianella, di origine protoromanica (a tre navate, con campanile cilindrico), fu trasformata nei secoli XVII-XVIII, e non ‘restaurata’.
La Certosa di Pontignano fu fondata nel 1343 e rinnovata profondamente nella seconda metà del XVI secolo dopo i danni della Guerra di Siena. Nel 1784 fu data ai Camaldolesi di Monte Celso; venne alienata, dopo la soppressione, nel 1810. Da notare il ‘cappellone’ della chiesa (decorata alla fine del Cinquecento da Poccetti e ‘suoi’ senesi), ridecorato nel secolo XVIII (Santi di Apollonio Nasini, 1720 circa).
La villa di Sestano, presso Quercegrossa, è di costruzione settecentesca. L’annessa cappella di Maria Santissima, eretta da Agostino Fantastici nel 1833, è ottagona internamente, rettangolare all’esterno con facciatina laterizia. A Villa a Sesta, posta tra Castelnuovo Berardenga e Brolio, è da ricordare l’antichissima chiesa di Santa Maria, ricostruita all’inizio del XIX secolo in stile neoclassico.
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