Nessuna immagine, nessun video, nessuna visita virtuale può ancora sostituire e riprodurre il medesimo fascino di questo luogo. L’incanto è totale e l’armonia con cui le geometrie architettoniche dell’abbazia si integrano con il paesaggio supera ogni paragone.
La facciata, rimasta incompiuta, presenta un portale, probabile soluzione di ripiego ad un progetto che ne prevedeva due, sormontato da un’architrave databile alla prima metà del XII secolo e capitelli, fregi e ghiere di poco posteriori. L’elemento che più di ogni altro conferisce a questa chiesa un’impronta francese è lo schema basilicale con deambulatorio a cappelle radiali, unico in Toscana e tra i pochissimi presenti in Italia.
Al mattino, il sole gioca con la pietra che nel deambulatorio è la più preziosa tra tutte quelle utilizzate per la chiesa: alabastro e travertino, con cui sono realizzati capitelli e colonne. Lunga 44 metri, la chiesa è sorvegliata all’ingresso da due leoni stilofori, destinati probailmente al portale esterno, databili al XII secolo e attribuiti al Maestro di Cabestany come lo stupendo capitello con le scene di “Daniele nella fossa dei leoni”.
I raffinati motivi fitomorfici e geoetrici, precisi nel disegno e netti nell’intaglio, denunciano una matrice che va ricercata in Francia, in Alvernia. Però altri capitelli ubicati nel deambulatorio presentano un carattere lombardo il che rende plausibile l’ipotesi cha a Sant’Antimo abbiano lavorato due maestranze, una francese e una, forse pavese, oppure che si sia trattato di un’unica maestranza lombarda che aveva soggiornato in Alvernia.
Sulla destra della chiesa maggiore, posta all’inizio del deambulatorio, si trova la cappella carolingia del secolo VIII-IX, un piccolo edificio ad unica navata rettangolare, con abside semicircolare. Sul lato esterno sinistro si eleva l’imponente campanile alto circa 30 metri. Diviso in quattro ordini, decorato da lesene, con aperture monofore e bifore, è di stile lombardo con una nota pisana per le colonne agli angoli della base. Il campanile ha una copertura a terrazza, su cui sono collocate due campane, una delle quali porta incisi il nome dell’abate Ugo (1216-12222) e la data 1219. L’abside della grande chiesa, sintesi di potenza e di slancio, culmina con una deliziosa bifora, l’unica che la illumina interamente.
La tradizione, abbastanza attendibile, vuole che Carlo Magno nel 781, di ritorno da Roma lungo la via Francigena, transitasse per il monte Amiata con la sua corte ed il suo esercito. In molti vennero colpiti dalla peste e, per fermare il flagello, l’imperatore fece un voto e fondò l’Abbazia.
Sant’Antimo è quindi un Ex voto imperiale. Secondo altri storici la fondazione risale ai Longobardi come quella di San Salvatore sull’Amiata. Non si esclude neppure che nel luogo esistesse una villa romana e si sa con certezza che nel IV-V secolo Castelnuovo dell’Abate era un importante centro abitato, dotato di una pieve, poi scomparsa.
Il monastero di Sant’Antimo comunque esisteva nell’anno 814 come testimonia un diploma di Ludovico il Pio che arricchisce l’Abbazia di doni e privilegi. Dal X secolo l’abate del monastero è anche Conte Palatino, carica pubblica di grande rilievo conferita dall’imperatore. Nel IX secolo l’abbazia attraversa difficoltà finanziarie, al punto che nell’877 Carlo il Calvo l’affida al vescovo di Arezzo, con l’obbligo di mantenervi a proprie spese 40 monaci.
Nel 992 papa Giovanni XV (985-996) emana una bolla con la quale il monastero passa sotto la diretta giurisdizione della Sede Apostolica. Il 1118 segna l’inizio dell’apogeo di Sant’Antimo. Il conte Bernardo degli Ardengheschi cede il suo intero patrimonio in beni mobili e immobili “in toto regno Italico et in tota marca Tuscie” a Ildebrando, figlio di Rustico, affinché lo trasferisca all’Abbazia. La testimonianza di questa eccezionale donazione venne incisa sui gradini dell’altare come “carta lapidaria” a perenne ricordo dell’evento. L’abate Guidone (1108-1128) che ricevette la donazione diede subito avvio al grande cantiere per la costruzione della nuova chiesa.
Il periodo di massimo splendore dura fino alla perdita di Montalcino, occupata dai senesi che obbligano l’abbazia alla firma di un patto con cui viene ceduta a Siena anche la quarta parte del territorio di Montalcino. E il 12 giugno 1212. L’Abbazia inizia il suo lento declino. Affidata ai Guglelmiti da papa Nicolò IV (1288-1292) con bolla del 23 agosto 1291, vive una breve ripresa nel periodo tra il 1397 e il 1404, fino alla sua soppressione nel 1462 da parte di papa Pio II (1458-1464) che ne affida i beni al vescovo della neonata diocesi di Montalcino e Pienza, creata il 13 agosto dello stesso anno. Dopo il passaggio dell’Abbazia alle proprietà dello Stato nel 1867, si aprì un lungo periodo di restauri che salvarono l’intero edificio.
I lavori, iniziati nel 1872 e terminati nel 1895, portarono la chiesa all’aspetto attuale. Nel 1992 l’attività religiosa è ripresa grazie all’arrivo dei Canonici Regolari Premonstratensi.