Il detto popolare “se il sasso scrocca, addio alla Rocca” la dice lunga. In alto si trova lo spuntone di roccia con massi tra i quali serpeggia l’Albegna; poi lo scoglio con i resti delle fortificazioni (detto SASSO o pietra) posizionato proprio sopra il borgo; quindi le abitazioni strette tra il sasso e la ROCCA, altro poggio roccioso dal quale fuoriescono i ruderi delle fortificazioni aldobrandesche e del cassero senese.
Il Cassero di Roccalbegna che sovrasta il borgo era un fortilizio minore, usato essenzialmente come punto di vedetta. Probabilmente venne costruito agli inizi del XIII secolo dai conti Aldobrandeschi. All’inizio del XV secolo, a causa della perdita della sua importanza strategica, il Cassero, allora di proprietà dello Stato senese, fu lasciato in abbandono. Nel 1446 i Castellani Domenico d’Andrea e Gherardo di Mariano si proposero di restaurarlo a fini strettamente abitativi. Nel 1555 lo Stato senese passò sotto il Granducato di Toscana e nel 1565 Roccalbegna venne concessa dal Granducato agli Sforza di S. Fiora. Restò feudo granducale fino al 1751. Con l’abolizione di tutti i feudi, Roccalbegna tornò a costituire comunità giurisdicente fino al 1838, quando fu affidata al vicario regio di Arcidosso. In corrispondenza dell’attuale giardino, costituito da un ampio prato e alberi d’alto fusto, sorgeva un giardino all’italiana, dotato di un “piccolo casino”, risalente al XVII secolo. Di questo giardino non sono rimaste tracce ma approfondite ricerche storiche ipotizzano che questo fosse molto simile al contemporaneo giardino connesso al complesso palatino di Santa Fiora.
Ricostruito dai senesi che gli dettero un impianto urbanistico diversissimo da quello dei castelli coevi (1296). Probabilmente in quell’occasione furono costruite le fortificazioni con torri quadrate che congiungevano i due rilievi rocciosi dominanti il paese detti La Pietra o Sasso e La Rocca o Casse. Le fortificazioni furono restaurate a metà del ‘400. (Esiste una detto popolare che dice “Se il sasso scrocchia, addio La Rocca”). Nel secolo scorso fu demolita la Porta di Montagna o Porta di Sopra, già Porta Altis, per la costruzione della strada granducale. Per lo stesso motivo anche all’interno dell’abitato vennero abbattuti alcuni edifici per permettere l’aggiornametno del bastione naturale della Pietra con un tracciato più pianeggiante che evitava la discesa e successiva risalita verso la Porta di Maremma.
Il castello di Triana sorge su uno sperone di roccia tra il fosso del Poderone e quello della Chiesacce ed ha una sola porta di ingresso ricostruita in stile nel 1913.
Sorge su uno sperone di roccia tra il fosso del Poderone e quello della Chiesacce ed ha una sola porta di ingresso ricostruita in stile nel 1913. Eretto sicuramente dagli Aldobrandeschi dopo il Mille, ceduto 1388 alla Famiglia Piccolomini, in rovina nel 500, fu restaurato quale centro della fattoria Triana. Unica aggiunta sembra essere la cappella, voluta da Lelio Piccolomini e ristrutturata in stile barocco da spinello nei primi anni del 700. In tempi recenti è passato alla società Pie disposizione di Siena. Una particolare attenzione può essere dedicata al piccolo giardino interno al castello, che richiamando al più celebre giardino urbano fatto costruire da Pio II Piccolomini a Pienza, è un giardino pensile di chiara impronta italiana, seppur semplicissimo, tanto nel disegno (quattro aiuole quadrate) quanto nelle essenze (bosso). La popolazione vive oggi come allora principalmente nei poderi che, nell’inventario del 1706 dell’Agrimensore Pasquale Furzi, erano ben descritti: due senza tavolare coperte a canali, a due stelle sotto con un chiostro murato, la tipologia di podere più diffusa in questa parte del territorio. Alcuni pigionali abitavano le case di proprietà signorile lungo la strada che porta la castello, mentre altre costruzioni, forze anche di concia, erano situate sotto la rupe.
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