Il vasto territorio del Comune di Gavorrano si distende per 19.000 ettari di terreno all’interno di uno spazio di grande qualità ambientale, dove si evidenziano risorse naturali, culturali e storiche. Nel territorio del Comune di Gavorrano a stretto contatto si trovano suggestivi borghi medievali quali Caldana, Ravi Giuncarico e lo stesso Capoluogo, migliaia di ettari di macchia mediterranea, querceti e castagneti, tombe etrusche e castelli medievali come la Rocca di Castel di Pietra; vecchie miniere quali quella di Gavorrano, oggi dismessa e insieme a quella di Ravi inserita nel Parco Minerario Naturalistico di Gavorrano.
Il comune di Gavorrano è quindi situato non lontano dal litorale tirrenico, ma si distacca dai clamori costieri, offrendo una totale immersione in una zona pochissimo antropizzata (8.000 gli abitanti in tutto il Comune) seppur antichissima, tra le più significative della provincia di Grosseto.
La posizione, il clima, la particolare conformazione geologica, i rigogliosi boschi sempre verdi delle colline, le cerrete e i castagneti delle zone più fresche e umide, costituiscono l’habitat ideale per una ricca fauna: cinghiali, caprioli, istrici, volpi rapaci e tanti altri piccoli animali sono comuni nei boschi e nelle campagne, e tra essi anche specie altrove scomparse, come la martora ed il gatto selvatico.
Nelle campagne possono essere ancora ammirati scorci del tradizionale paesaggio rurale toscano, con oliveti, campi intercalati da siepi e filari di cipressi e vigneti. Questo ultimo settore è oggi uno dei più importanti della nostra agricoltura con oltre 300 ettari di vigna coltivata ed in continua espansione, tanto da fare di Gavorrano uno dei maggiori produttori del comprensorio. Di rilievo, sia per la capienza sia per la loro struttura architettonica che si armonizza con il paesaggio maremmano, anche le grandi cantine che si stanno costruendo, una delle quali, in via di realizzazione, è stata progettata dall’architetto Renzo Piano uno dei maggiori architetti contemporanei le cui doti sono universalmente riconosciute.
La chiesa parrocchiale di Gavorrano è stata probabilmente costruita sulle mura dell’antica rocca come dimostra il campanile la cui parte inferiore presenta un tipo di muratura più antica rispetto al resto dell’edificio. Intitolata a S. Giuliano deve il suo aspetto attuale ai lavori di rifacimento e ampliamento condotti a cavallo fra il XVII e XVIII secolo per sostituire l’antica chiesa plebana dedicata a S. Gusmè e in seguito a San Giuliano, come dimostra un documento del 1529. L’attuale chiesa presenta all’esterno una facciata risalente al 1927, con una forma a capanna suddivisa da paraste con occhio centrale e piccoli archetti pensili decorativi. All’interno della chiesa è conservata in una nicchia alla destra del portale una pregevole scultura marmorea raffigurante la Madonna con Bambino, (1336) attribuita dagli studiosi a Giovanni d’Agostino scultore ed architetto Senese capomastro al Duomo di Siena dal 1340 al 1345. Altre opere d’arte di notevole rilievo, conservate nella chiesa sono le due tele settecentesche raffiguranti l’Annunciazione ed il Battesimo di Cristo entrambi donati alla chiesa da privati, il primo dipinto, qualitativamente più pregevole si basa su un prototipo romano, mentre il secondo per alcuni critici, richiama i moduli formali di Pietro da Cortona.
La chiesa di San Biagio oggi monumento nazionale, fatta costruire dalla illustra casata Senese degli Austini , è un raro esempio di edificio sacrorinascimentale nella bassa maremma. Gli elementi architettonici della facciata rimandano allo scuola di Antonio da Sangallo il Vecchio ( 1455 – 1534) per le evidenti analogie stilistiche con il san Biagio di Montepulciano e per l’attitudine al trattamento armonioso e classico delle forme. Nuovi studi recentemente intrapresi dalla Dott.ssa Guidelli attribuiscono invece la chiesa di San Biagio alla mano di Michelangelo. Questa notizia suffragata da ampia documentazione ha avuto un immediato e spontaneo risalto presso l’opinione pubblica, la stampa e televisione regionale e nazionale. All’interno della chiesa si può ammirare un affresco collocato sulla parete dietro l’altare che riproduce il crocifisso e i Santi Biagio e Guglielmo, opera attribuita a Nicola Nasini (1657 – 1736), è inoltre visibile il seicentesco fonte battesimale realizzato in marmo locale “Portasanta” unica opera realizzata con questo famosissimo marmo , che ancora si conservi in Caldana.
Il territorio è interessato anche da un’emergenza archeologica del periodo medievale, Castel di Pietra dove da anni sta operando con campagne di scavo e pubblicazioni l’Università di Siena, facoltà di Archeologia e Storia del Territorio.
Il Castello di Pietra si trova nei pressi della strada che unisce la statale Aurelia con Ribolla. E’ un importante sito archeologico che racchiude testimonianze che vanno dall’epoca etrusca al XIV secolo. La collocazione topografica del sito, al margine sud-orientale del distretto minerario massetano e allo stesso tempo lungo il percorso del fiume Bruna che portava direttamente alla costa, sembra giustificare la nascita dell’abitato di Castel di Pietra in età tardo-orientalizzante, come uno dei centri di controllo dell’estrazione e della lavorazione metallurgica del territorio vetuloniese. Nel XI-XIII secolo Castel di Pietra era sotto il controllo della famiglia degli Aldobrandeschi che dette inizio all’opera di costruzione della parte alta. Verso la fine del XIII inizi XIV secolo il passaggio di consegne fra la famiglia degli Aldobrandeschi e quella dei Pannocchieschi ebbe ripercussioni anche sul piano urbanistico. Nel XIV secolo, una volta cessato il dominio territoriale della famiglia dei Pannocchieschi, il Castello subì prima una trasformazione, poi un progressivo degrado.
In Gavorrano capoluogo, il Centro di documentazione di Castel di Pietra, ospita i reperti rinvenuti nelle varie campagne di scavo effettuate dalla facoltà di Archeologia dell’Università di Siena nell’omonimo sito archeologico.
I paesi di questo territorio compongono una sorta di collana, una catena che è cerniera delle colline e guarda con occhi severi l’interno. Giuncarico osserva la pianura verso Roccastrada, Caldana e Ravi, protetti alle spalle dal bosco, controllano la valle che poi si apre su Gavorrano e nel golfo di Follonica. Una volta anche il castello di Scarlino era parte di questo sistema e rappresentava un avamposto verso il mare tanto che certi studiosi ritengono questi castelli termine ultimo dei tratturi millenari che portavano a svernare in Maremma le greggi transumanti dell’Appennino.
In queste province l’oblio e l’abbandono, lo spopolamento, i grandi spazi, hanno provocato un curioso fenomeno, le cose nascondono ancora misteri che la Toscana più civilizzata ha perso. E non solo leggende e di ignoti fuggiaschi ma di capolavori protetti dall’oblio come la chiesa di Caldana che studiosi accorti ipotizzano originata da disegni di Michelangelo.
Gavorrano sorge sulle pendici di un poggio granitico, il monte Calvo,. Il suo nome deriva dal latino Caput Boreanum, divenuto successivamente Capo Borano, poi Cavorano fino a giungere alla denominazione attuale. Le prime testimonianze dell’abitato risalgono al IX secolo. Della rocca di Gavorrano rimane oggi riconoscibile il circuito delle mura in filarotto, intervallato da diverse torri, notevoli le due sul lato meridionale sul quale si aprono anche due porte ad arco tondo.
Nella chiesa di S. Giuliano è conservata una piccola statua di marmo raffigurante la Madonna con bambino opera dello scultore senese del ‘300 Giovanni d’Agostino. Da visitare nei pressi del Palazzo comunale il Centro di Documentazione dove sono conservati interessanti reperti degli scavi archeologici realizzati a Castel di Pietra.
Bagno di Gavorrano, antico borgo termale, divenuto oggi il centro più densamente popolato di tutto il comune. Si trovano qui numerosi impianti sportivi.
Il paese mantiene inalterata l’antica struttura caratterizzata dagli stretti vicoli.
Il suo castello documentato già dall’anno 785, fu posseduto nei secoli XI e XII dai monaci dell’abbazia di S. Bartolomeo di Sestinga per poi passare ad Ildebrando Aldobrandeschi e quindi nel 1262 sotto il dominio della città di Siena. Lungo il fianco della collina, su cui sorge il paese, si trova la grotta dell’Artofago, in cui sono stati rinvenuti reperti risalenti a circa 5000 anni fa, oggi conservati presso il Museo Archeologico di Grosseto.
Giuncarico, il cui nome è citato per la prima volta in un documento dell’Abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata, del 772, mantiene ancor oggi l’aspetto del borgo medievale costruito dentro ed intorno alle mura. Delle due porte quella ad est è originale e si presenta ad arco tondo in pietra, la torre che la sovrasta invece è più recente.
La chiesa di S. Egidio conserva una tela settecentesca raffigurante la Madonna fra i Santi.
Non lontano dall’abitato di Giuncarico, nella pianura sottostante si trovano la tomba etrusca di Poggio Pelliccia e la necropoli etrusca di S. Germano. Su Poggio Zenone sono conservati i resti del castello medievale denominato “la Castellaccia”.
Antico borgo medievale, conserva ancora le caratteristiche del castello.
Vi si trova la chiesa di S. Biagio, raro esempio di architettura sacra rinascimentale della Maremma grossetana.
Il progetto della faccia e degli interni della Chiesa di San Biagio è attribuito da alcuni studiosi a Michelangelo Buonarroti.
Sul frontone di questo edificio si riconosce lo stemma degli Austini, la famiglia che ricostruì il castello nel XVI secolo e fece edificare la chiesa. All’interno si trova un affresco con il crocifisso e i Santi Biagio e Guglielmo, opera di Giovanni Nasini.
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