Poco a sud di Firenze si estende il territorio di questo comune circondato dai comuni limitrofi di Scandicci e Impruneta a nord, Greve ad est, Tavarnelle Val di Pesa a sud ed infine con il territorio del comune di Montespertoli a ovest.
Anticamente era chiamata San Casciano a Decimo perchè è situata alla decima pietra miliare della strada romana. Anche questa città sorse sotto gli auspici di Firenze, poiché fu proprio dai vescovi fiorentini che ebbe il primo statuto nel 1241; nel 1272 fu sotto la Repubblica fiorentina. Enrico VII calando in Italia vi fece sosta alcuni giorni nel dicembre del 1312. Nel 1326 San Casciano dovette subire varie scorrerie da parte di Castruccio Castracani che ne incendiò il borgo. Gualtieri di Brienne, Duca di Atene e Signore di Firenze cominciò a fortificarla nel 1343.
Anche San Casciano come Empoli e come molte città toscane venne considerata dai fiorentini come punto strategico per la loro difesa, infatti nel 1355 vi costruirono un cassero e lo munirono di grosse mura e torri. Il Granduca Ferdinando II donò poi il Cassero di San Casciano a Giovanni Santi Lucardesi detto l’indiano; poi più tardi lo stesso cassero fu convento delle suore benedettine.
Si nota in San Casciano la Chiesa della Misericordia, già Santa Maria del Prato di architettura gotica-toscana del 1335; la Collegiata dove nella Cappella di destra vi é una fonte battesimale a lunetta con Madonna e Santi del ‘300 e al terzo altare a sinistra l’Annunciazione, della maniera di Ridolfo Ghirlandaio; la Chiesa di San Francesco, del 1436 rinnovata nel 1492; nell’interno Madonna con Bambino e Santi, tavola di Biagio di Antonio da Firenze, nel refettorio del Convento, Cenacolo, affresco attribuito al Passignano.
Il Museo di San Casciano vede la sua origine nella raccolta d’arte allestita fin dal 1989 nella chiesa di Santa Maria del Gesù. Il Museo d’arte sacra, creato per garantire la sicurezza delle opere un tempo sparse nel Vicariato di San Casciano, nel 2008 si è arricchito, grazie al recupero di alcune sale fino ad allora occupate da uffici amministrativi, di una sezione archeologica e di una sezione dedicata alle abitazioni primitive.
La scelta originaria di adibire a museo un luogo di culto, seppure officiato raramente, derivò da ragioni di ordine pratico e scientifico: la centralità nel tessuto urbano, la praticità dell’accesso, il mantenimento sugli altari delle opere per essi concepite.
Oggi, secondo un progetto culturale di più ampio respiro, il Museo di San Casciano intende affermarsi come polo culturale della comunità locale: il museo diventa la testimonianza viva della storia della città, è lo specchio in cui si riflette la realtà cittadina, è luogo di dibattito e di confronto, in primo luogo con le nuove generazioni.
Dalla sala d’ingresso, adibita anche ad ufficio informazioni turistiche, il percorso museale ha inizio dalla sagrestia dove è custodito, tra le altre opere, il fusto scolpito del Maestro di Cabestany. Da qui si accede alla Chiesa di Santa Maria del Gesù.
Dalla sagrestia, il percorso prosegue nella sala dei dipinti e nella sezione dei parati sacri. Nella prima sala si trovano le opere più preziose del museo, prime fra tutte i due dipinti provenienti dalla chiesa di Sant’Angelo a Vico l’Abate: il dossale raffigurante San Michele Arcangelo e storie, attribuito a Coppo di Marcovaldo e riferito al quinto decennio del XIII secolo e la Madonna col Bambino di Ambrogio Lorenzetti, datata 1319, entrambi collocati sulla parete destra. Nella stessa sala sono riunite tutte le tavole a fondo oro, la più antica delle quali è una Madonna col Bambino che risale al secondo decennio del XIV secolo ed è attribuita al Maestro del trittico Horne, un pittore anonimo fra i minori del Trecento fiorentino, ma dotato di una sua spiccata personalità. Di particolare interesse è la Madonna col Bambino di Cenni di Francesco, uno degli esponenti più significativi del tardogotico toscano, il cui stile è caratterizzato da un tono narrativo e da una straordinaria vivacità cromatica ed espressiva.
Lungo le pareti si incontrano ancora: la Madonna col Bambino fra angeli e santi del Maestro Francesco, il trittico con la Madonna in trono fra quattro santi del Maestro di San Jacopo a Mucciana, la Madonna col Bambino di Jacopo del Casentino e il Crocifisso trecentesco attribuito al Maestro di San Lucchese, sagomato all’inizio del Quattrocento.
Giunti nuovamente alla sala d’ingresso, dominata dalla maestosa stele detta “dell’Arciere”, mediante le scale o prendendo l’ascensore si sale al primo piano, che ospita la sezione archeologica. Dalla seconda sala dedicata all’archeologia, si accede alla sezione delle Abitazioni primitive, che prosegue al secondo piano.
Chiude la visita al Museo di San Casciano la sezione sulle Abitazioni primitive. Dalla tipica casa colonica che segna il paesaggio del Chianti, lo sguardo si apre, con questa sezione, alle culture di tutto il mondo, con l’obiettivo ambizioso di far conoscere la grande varietà delle forme edilizie e degli habitat tradizionali, grazie a modelli in scala, pannelli esplicativi e fotografie d’epoca. La sezione nasce a seguito della donazione al Comune, nel 1988, del materiale scientifico dell’Archivio Tipologie Edilizie del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università di Firenze, allo scopo di fare di San Casciano un centro di studi e di ricerche sulla cultura abitativa e sulla salvaguardia ambientale ed edilizia.
Si tratta di una ricca e importante collezione di opere d’arte raccolte nel corso del tempo dalla Compagnia della Misericordia e custodita all’interno della chiesa di Santa Maria sul Prato. Fra i dipinti sono da segnalare le tre tavole trecentesche di Ugolino di Nerio raffiguranti la Madonna col Bambino, San Pietro e San Francesco, e il Crocifisso di Simone Martini. Sulla parete destra della chiesa si trova un pergamo in marmo della metà del XIV secolo, importante opera di Giovanni di Balduccio.
Il Palagio si trova a Mercatale – già Mercatale dei Campoli, importante centro nato come conseguenza della forte crescita economica del XIII° secolo come punto di scambio per i castelli della zona – nel cuore del Chianti Fiorentino. La prima menzione del Castello risale al 1252, sebbene il primo insediamento nella zona sia molto più antico. Diversi eventi hanno segnato la storia di questo fortilizio che per la sua mole e la sua imprendibilità resistette a numerose incursioni nel corso dei secoli; infatti la poderosa base a scarpa e le possenti mura quadrilatere sovrastate dalla torre centrale, che serviva da avvistamento e da mastio unita alla valentia dei difensori, impedirono lo strazio e le distruzioni che subirono altri edifici della zona.
Nel 1260 i Ghibellini, dopo la vittoria nella battaglia di Monteaperti, devastano l’area distruggendo il vicino villaggio di Campòli, ma il Palagio rimase indenne come durante la calata in Italia dell’Imperatore Arrigo VII. Pochi anni dopo, nel 1320, il castello fu ampliato, raggiungendo dimensioni ben più ampie delle attuali. L’anno 1326 vede le incursioni e le distruzioni del signore di Lucca Castruccio Castracani, che a lungo sostò nei dintorni, mentre cinquantanni dopo presso il vicino Ponte di Romagliano – oggi nel territorio di Sambuca Valdipesa – l’esercito del capitano John Hawkwood (Giovanni Acuto) fu fermato dalle milizie del Buondelmonti provenienti dal Palagio; ormai la fortezza con le sue mura imprendibili era luogo di difesa usato anche come trampolino di lancio per azioni offensive, oltre che anello fondamentale nella catena difensiva che da San Casciano giungeva, passando per Mercatale, a Sant’Andrea a Fabbrica.
L’edificio nasce ad un piano, posato al di sopra al redondone in pietra della base scarpata ed è ancora visibile traccia della copertura a capanna originaria ripetuta anche sulla torre, ove però era in legno come si usava al tempo. Dopo l’ampliamento del XIV° secolo tutta un’ala viene rialzata con conseguente demolizione dell’antica copertura, sostituita con struttura piana anche sulla torre, a sua volta elevata di un piano. La struttura originaria non era dotata di merlatura, quella esistente è parte della ristrutturazione neo-gotica effettuata alla fine dell’ottocento. Appartenuto inizialmente alla famiglia Visdomini di Petrojo (da cui discese il patrono del Chianti San Giovangualberto) e successivamente ai Canigiani che possedevano anche il castelletto di Montefolchi, Il Palagio fu per due secoli della Repubblica Fiorentina. Con la rinascita granducale e la fine delle continue emergenze militari, anche Il Palagio, per mano dei nuovi proprietari Baroni Miniati, si trasforma in villa e si arricchisce di opere d’arte, mentre nuovo impulso viene dato all’agricoltura ove la vite e l’ulivo fanno la parte del leone.
Quello che vediamo oggi al Palagio è in gran parte conseguenza del restauro di un secolo fa e sebbene molte parti del fabbricato rivelano ancora le antiche strutture, altre sono frutto dell’ondata romantica medievaleggiante che dominò l’architettura dei primi del novecento. Col restauro si dette nuovo impulso anche alla vasta tenuta, per cui a lato nascevano nuovi locali per la fattoria con il frantoio, le nuove cantine ed i magazzini dove, a distanza di 120 anni, ancora si vinifica con criteri tradizionali ed il vino porta ancora l’emblema di questa antica fortezza a cui per la maestosità e l’importanza, fu imposto il nome de Il Palagio.
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