Stia trae la sua origine dall’essere stata un villaggio sorto sulla romana Via Maior che collegava il Casentino a San Godenzo, in Mugello. Il toponimo è di origine latina, per contrazione dal nome del torrente Staggia. Le prime indicazioni sul paese di Stia si trovano nel Regesto Camaldolese del 1053 dove si legge della Plebe S. Mariae de Staia e successivamente, nel 1093, troviamo citato un Casale de Stia.
Nel Medioevo Stia si sviluppò come “mercatale” della Contea di Porciano e residenza del ramo dei Conti Guidi detti “di Palagio” per ricordare la costruzione, avvenuta nel 1230, di una sontuosa abitazione sulle rive del torrente Staggia, detta appunto il Palagio. Attorno a questo imponente edificio si sviluppò un nuovo agglomerato, che andò ad aggiungersi al villaggio già esistente a monte, denominato Stia Vecchia. I Conti Guidi “di Palagio” mantennero il possesso della terra di Stia sino all’assedio a cui il borgo fu sottoposto da parte della Repubblica Fiorentina (1402).
La storia di Stia in seguito rimase a lungo legata a quella di Firenze, ai Medici prima e agli Asburgo Lorena poi. Il comune, che nel 1840 contava 2.901 abitanti, ebbe un grande sviluppo grazie alla lavorazione della lana che portò Stia ad essere un centro produttivo importante. È qui che nacque il celebre panno “casentino”. Nei primi anni del 1900 erano quasi 500 gli operai impiegati nel Lanificio di Stia. Il paese, cresciuto al suono della sirena della “fabbrica”, ha attraversato vari periodi di sviluppo ed ha certamente risentito della chiusura del grande stabilimento laniero.
Oggi Stia, che ha individuato nel turismo la sua nuova leva di crescita, è un paese in cui passato e presente, progresso economico e difesa dell’ambiente, tradizioni e storia si coniugano sapientemente.
Le memorie storiche riguardanti Porciano risalgono al mille, viene infatti nominato in uno scritto dell’anno 1017 come residenza del Conte Guido di Teudegrimo, fondatore del ramo dei Conti Guidi da Porciano, quindi possiamo considerare il castello come una delle prime sedi della potente famiglia Casentinese.
Più di due secoli dopo, dal 1288, fu del famoso Conte Tegrimo che, qui ritiratosi dopo la battaglia di Campaldino, assaliva e derubava i malcapitati viandanti e mercanti che passavano nelle vicinanze del castello. Di questa suo ‘nobile mestiere’ esiste testimonianza in una condanna del 1291 a pagare 10.000 fiorini d’oro al Podestà di Firenze per aver derubato un mercante di Ancona.
Il successore di Tegrimo fu il Conte Guido Alberto di Porciano, anch’esso condannato dalla Signoria Fiorentina per aver tramato in una congiura per rovesciare la stessa. Il 20 marzo 1349 il castello passò sotto il dominio del Comune di Firenze avendo l’ultimo Conte di Porciano, Ludovico, vestito l’abito del monaco abbandonando tutti i suoi beni terreni.
Come a molti altri luoghi casentinesi anche a Porciano esistono molte memorie legate, anche se non provate storicamente, a Dante Alighieri. Si narra che nel 1311 il poeta si recò per la prima volta a Porciano per convincere i Conti Guidi, che da sempre osteggiavano i guelfi Fiorentini, ad appoggiare l’appena incoronato Imperatore Arrigo VII e convincerlo a schierarsi apertamente dalla parte ghibellina.
Da Porciano partirono due famose lettere di Dante. La prima, il 31 marzo 1311, destinata ai Fiorentini, piena di astio e risentimento dopo l’esilio a cui era stato condannato, per invitarli a sottomettersi all’Imperatore. La seconda, il 16 aprile dello stesso anno, all’Imperatore per spingerlo a schiacciare con le armi la stessa Firenze. Le cose non andarono a buon fine, i Conti Guidi non mantennero le promesse di fedeltà fatte all’Imperatore, e il poeta immortalò il suo disprezzo per i traditori nel XIV° canto del Purgatorio della Divina Commedia. Questo causò la vendetta dei Guidi che imprigionarono l’Alighieri proprio in una delle stanze di Porciano.
Un’altra leggenda che riguarda il castello è quella relativa alla presenza fra le sue mura di un tesoro, una campana tutta d’oro che ‘vale quanto tutto il Casentino’.
La possente Torre Palazzo di Porciano ancora dotata di merlatura guelfa, la più grande del Casentino con i suoi 35 metri e sei piani di altezza, si innalza fra i resti della cinta muraria, due torri, quella occidentale trasformata in campanile della chiesa del paese, e due porte, una a nord e una a sud.
La rovina del castello iniziò nel XVI° secolo in contemporanea con la crescita del paese di Stia, posto a valle, molto più comodo per il commercio. I ruderi della fortificazione conobbero anche l’onta di essere destinati ad uso agricolo. Come il vicino castello di Romena, anche Porciano divenne nell’800 proprietà dei conti Goretti dè Flamini che ne curarono il restauro. Sul sito furono portate avanti anche ricerche archeologiche che hanno permesso il recupero di reperti atti a ricostruire le fasi di sviluppo del castello.
E’ stato possibile anche ricostruire il complesso sistema di canalizzazione delle acque che dal tetto della torre venivano fatte affluire sia alla cisterna principale nella corte del castello sia in una più piccola all’interno della torre stessa per uso potabile. Dopo gli ultimi interventi, terminati nel 1978, i ruderi risultano ben tenuti e sono oggi aperti al pubblico, la torre ospita anche un appartamento residenza dei proprietari e un piccolo museo dei reperti rinvenuti nella zona.
Guardando questo maniero di non grandi dimensioni oggi può addirittura sembrare impossibile che nel medioevo la sua importanza fosse notevole. Eppure la ‘corte’ di Porciano era frequentata da cavalieri, nobili e ambasciatori, i mercanti provenienti dall’est dovevano passare sotto le sue mura per recarsi a Firenze e un Imperatore confidava nella sua alleanza per sottomettere la potente Signoria Fiorentina.
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